Da qualche anno lavoro nelle scuole in qualità di assistente specialistico e di OEPAC (Operatore Educativo Per l'Autonomia e la Comunicazione).
Queste figure sono state istituite con l'obiettivo di favorire il diritto allo studio, l'integrazione e l'autonomia degli studenti con disabilità. Nell'ultimo anno mi sto occupando di questa funzione nella scuola dell'infanzia. Da questo lavoro e dal costante confronto con colleghi sia psicologi che non, sono emerse diverse riflessioni che mi piacerebbe condividere.
Che cosa si fa nella scuola dell’infanzia? A che serve?
E' una domanda che più volte è emersa in questi mesi di lavoro e la risposta, che potrebbe essere scontata in realtà ha una grande complessità. Una delle risposte più comuni è quella che vuole che il grado scolastico precedente sia propedeutico a quello successivo: la scuola dell'infanzia serve per prepararsi alla primaria, la primaria serve per prepararsi per la secondaria di primo grado e così via, fino all'università.
Un'altra delle risposte è che nella scuola dell'infanzia si creino prodotti, intesi come artefatti materiali, i cosiddetti lavoretti. Sono risposte spesso immediate, ma parziali, che dicono poco del lavoro che si fa effettivamente nella scuola dell’infanzia.
Ma quindi, che obiettivi si propone la scuola dell'infanzia?
Con l'istituzione della scuola dell'infanzia, nel 1991, sono state pensate 3 finalità principali: lo sviluppo dell’autonomia, dell’identità e delle competenze. Nel 2012 sono stati articolati 5 campi di esperienza in cui raggiungere obiettivi.
il sé e l'altro (le grandi domande, il senso morale, il vivere insieme);
il corpo e il movimento (identità, autonomia, salute);
immagini, suoni e colori (gestualità, arte, musica, multimedialità);
i discorsi e le parole (comunicazione, lingua, cultura);
la conoscenza del mondo (ordine, misura, spazio, tempo, natura)
Nell'esperienza quotidiana, tuttavia, trasformare queste finalità in obiettivi specifici perseguibili risulta molto complesso, anche per per via delle molteplici diversità da integrare.
No, non parlo solo delle diversità dei bambini, delle disabilità, delle loro differenze di età coesistenti nelle stesse classi, che pure rappresentano delle questioni interessanti. Parlo anche delle diversità di chi a scuola ci lavora, dei differenti ruoli, delle molteplici formazioni, delle varie esperienze e dei diversi contratti. Differenze che sono spesso bypassate, in favore di un lavorare quotidianamente insieme in un contesto che richiama costantemente e simbolicamente la famiglia.
Lavorare con i bambini, soprattutto per chi lavora da anni in questo settore può diventare un processo "automatizzato" in cui si riconoscono dimensioni note e si risponde attraverso modalità altrettanto note. Iniziando a conoscere i bambini, si agisce con tale quotidianità, che, dopo un po', diventa molto difficile dirsi come si è fatto a raggiungere un obiettivo, a risolvere un problema.
Si pensi alle mamme che, superata l'apprensione di avere un primo figlio, si muovono con molta più naturalezza e tranquillità con il secondo. Ci si dice che i bambini cambiano perché sono cresciuti, perché sono maturati, ma trovare delle parole per poter dire come si è pensato un obiettivo e come lo si è raggiunto è tutt'altra cosa.
Trovo che questa sia una questione centrale. Nelle riunioni negli istituti comprensivi ad esempio, in cui si riuniscono i vari gradi scolastici, molto spesso, le rappresentanti della scuola dell'infanzia faticano a confrontarsi, parlano poco, sostengono che è più opportuno "andare a vedere". Si potrebbe imputare questa differenza all'assenza di un programma didattico strutturato come negli altri gradi, ma questa differenza ha anche molto a che fare anche con la naturalizzazione di questi obiettivi, come se a un certo punto ogni bambino raggiungesse delle tipiche tappe di sviluppo, aldilà del rapporto con la scuola.
Ma in tutto ciò, che c'entra l'OEPAC psicologa che dovrebbe occuparsi dell'integrazione e dell'autonomia e della comunicazione del bambino con disabilità?
Una funzione molto utile che cerco di attivare nel mio lavoro, come OEPAC psicologa, allora è quella di rendere visibili le differenze anche nelle competenze nel personale scolastico, renderle parlabili e quindi pensabili per rendere integrabili competenze, funzioni, creando possibilità e spazi per parlarsi, costruendo significati dell'educare, dell'insegnare, del crescere. Insomma, costruire creativamente un'idea di sviluppo.
Questo lavoro è necessario per poter attivare poi una funzione integrativa con lo specifico bambino preso in carico. Per come la penso, l'integrazione non riguarda l'unico elemento divergente di un gruppo, da assimilare a ogni costo, ma è una dimensione contestuale.
Un contesto che riesce a sentirsi integrato, nelle proprie funzioni, nelle proprie capacità e nel proprio modo di pensare le proprie diversità, può meglio accogliere le diversità altrui, per pensare insieme progetti, attività e obiettivi specifici.
E' un cambio di prospettiva importante, perché non si propone un lavoro sul singolo, ma sul contesto affinché sia in grado di pensare e trattare le diversità, rendendole qualcosa di interessante e utile allo sviluppo.
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